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Data: 16/04/2024
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CORRIERE DELLA SERA
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Pensione anticipata, Quota 41 si allontana: perché lasciare il lavoro prima ora è più complicato

Dopo la presentazione della versione "light" del Def da parte del governo Meloni appare chiaro che la misura tanto cara alla Lega non vedrà probabilmente la luce nemmeno nel 2025. La spesa per gli assegni è destinata a superare i 337 miliardi a fine anno, impedendo per ora di avviare la promessa riforma delle pensioni


Quota 41, la formula di prepensionamento tanto cara alla Lega, con ogni probabilità non vedrà la luce neanche nel 2025. Come era già accaduto nel primo Def targato Meloni, dove Quota 41 non aveva trovato spazio, anche il nuovo Def “light” presentato dal governo Meloni, infatti, sembra non lasciare spazio alla misura che nelle intenzioni dovrebbe superare la legge Fornero, estendendo a tutti la possibilità di accedere alla pensione con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età. Del resto, lo stesso Documento di economia e finanza individua, tra le righe, abbastanza chiaramente nella Quota 100 voluta fortemente dalla Lega durante il breve governo Conte 1 (quello in cui M5S andava a braccetto con il Carroccio) una delle cause della corsa degli italiani all’uscita anticipata dal lavoro. Cosa che ha peggiorato negli ultimi cinque anni i bilanci dello Stato, nonostante i riaggiustamenti seguenti di Quota 102 e 103, che hanno avuto ricadute meno pesanti sui conti pubblici. La spesa a fine 2024 è infatti destinata a superare i 337 miliardi di euro (+5,8% sul 2023). Ma non è finita qui: nei prossimi tre anni, fino al 2027, si stima un tasso di crescita media annuo del 2,9%. Insomma, il governo Meloni non ha e non avrà soldi, almeno per ora, per immaginarsi nuove sostanziali formule di prepensionamento.

Perché la spesa delle pensioni è lievitata

A far correre la spesa per le pensioni sono i costi legati all’indicizzazione all’inflazione degli assegni  sotto la spinta dei costi dell’indicizzazione all’inflazione degli assegni. Questa esiste per tutelare i pensionati dall’aumento dei prezzi al consumo, dunque dall’inflazione. Dal momento che non è possibile chiedere un aumento per la propria pensione, è stato ideato un sistema che consenta di rispondere all’aumento del costo della vita e, dunque, alla perdita di potere d’acquisto dei pensionati, attraverso un meccanismo di rivalutazione degli assegni (perequazione, o indicizzazione delle pensioni) in base a indicatori di riferimento individuati periodicamente dall’Istat. Per il 2023 il Ministero dell’Economia e delle Finanzie ha fissato la rivalutazione al 7,4%, mentre è previsto un +5,8% per il 2024. Il sistema è cambiato nel corso degli anni (in via generale, prevede l’indicizzazione al 100% per le pensioni più basse e una rivalutazione parziale per quelle d’importo superiore) e anche il governo Meloni ha tentato una parziale stretta per non far crescere troppo le pensioni. E la Ragioneria generale dello Stato, nell’apposito focus inserito nel Def, ribadisce che dal 2029 in avanti, «il rapporto tra spesa e Pil riprende ad aumentare fino a raggiungere il 17% nel 2040». Un’impennata «essenzialmente dovuta all’incremento del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati indotto dalla transizione demografica, solo parzialmente compensato dall’innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento».

Tutto rimandato a settembre

Cosa intende fare il governo per ora non si sa. Si deve, dunque, far passare tutta l’estate e vedere nell’aggiornamento del Def, previsto per settembre, come l’esecutivo chiarirà il futuro previdenziale. Certo è che Quota 103 torna a essere in scadenza a dicembre, dopo la proroga dell’anno scorso. E insieme a lei, l’Opzione donna nella versione stringatissima voluta da Meloni e l’Ape sociale. L’ipotesi più probabile è che tutte queste misure saranno soggette a una nuova proroga e, se si trovano i fondi, il governo potrebbe ritoccare Quota 103, magari spostando un po’ in avanti i termini dell’uscita dal lavoro (Quota 104?). Difficile, comunque, aspettarsi qualcosa di veramente nuovo: la tanto promessa riforma delle pensioni sempre di più spinge il suo orizzonte verso i limiti di fine mandato. 

Come si va in pensione (ordinaria) nel 2024

Nell’attesa di sapere come e se cambieranno le regole nel 2025, vediamo come si può lasciare il lavoro quest’anno. Dal 2024 si va in pensione a 67 anni di età e 20 di contributi, ma solo se si ha maturato un importo di pensione mensile pari almeno all’assegno sociale (534,41 euro) e se non si hanno versamenti previdenziali precedenti al 1996. Fino all’anno scorso, per lasciare il lavoro a 67 anni bisognava aver maturato un importo pari ad almeno 1,5 volte l’assegno minimo, senza il quale si dovevano attendere i 71 anni di età. A partire dal primo gennaio di quest’anno, dunque, la pensione di vecchiaia ha un nuovo requisito di "importo soglia", ovvero la prima rata della pensione. Dunque, chi raggiunge il requisito anagrafico di 67 anni (per i bienni 2023-2024 e 2025-2026) e un’anzianità contributiva minima di venti anni, può lasciare il lavoro a condizione che l’importo della pensione non risulti inferiore, appunto, all’"importo soglia" definito per quest’anno. 

Attenzione: i lavoratori che raggiungono i requisiti per la pensione (67 anni di età e 20 di contributi) entro il 31 dicembre 2023 devono rispondere anche al requisito dell’importo soglia pari a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale e vanno in pensione di vecchiaia con la precedente disciplina.

Come si va in pensione (ordinaria) nel 2024

Nell’attesa di sapere come e se cambieranno le regole nel 2025, vediamo come si può lasciare il lavoro quest’anno. Dal 2024 si va in pensione a 67 anni di età e 20 di contributi, ma solo se si ha maturato un importo di pensione mensile pari almeno all’assegno sociale (534,41 euro) e se non si hanno versamenti previdenziali precedenti al 1996. Fino all’anno scorso, per lasciare il lavoro a 67 anni bisognava aver maturato un importo pari ad almeno 1,5 volte l’assegno minimo, senza il quale si dovevano attendere i 71 anni di età. A partire dal primo gennaio di quest’anno, dunque, la pensione di vecchiaia ha un nuovo requisito di "importo soglia", ovvero la prima rata della pensione. Dunque, chi raggiunge il requisito anagrafico di 67 anni (per i bienni 2023-2024 e 2025-2026) e un’anzianità contributiva minima di venti anni, può lasciare il lavoro a condizione che l’importo della pensione non risulti inferiore, appunto, all’"importo soglia" definito per quest’anno. 

Attenzione: i lavoratori che raggiungono i requisiti per la pensione (67 anni di età e 20 di contributi) entro il 31 dicembre 2023 devono rispondere anche al requisito dell’importo soglia pari a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale e vanno in pensione di vecchiaia con la precedente disciplina.

La pensione anticipata

Per i bienni 2023-2024 e 2025-2026, il diritto alla pensione anticipata - col calcolo interamente contributivo - si matura al compimento dei 64 anni di età e con almeno venti anni di contributi. Ma c’è un’altra condizione: l’"importo soglia" deve essere pari almeno a 3 volte l’importo dell’assegno sociale in vigore. Parliamo di 1.603,23 euro. Questo importo, però, scende a 2,8 volte (ovvero a 1.496,35 euro) per le lavoratrici con un figlio; e a 2,6 volte (ovvero a 1.389,46 euro) per le donne con due o più figli. L’assegno della pensione anticipata non può superare nell’importo lordo massimo le cinque volte il trattamento minimo in vigore: siamo quindi a 2.993,05 euro. Al raggiungimento del requisito anagrafico dei 67 anni, ovvero quello previsto per la pensione di vecchiaia per i bienni 2023/2024 e 2025/2026, l’assegno verrà corrisposto per l’intero importo della pensione perequato nel tempo.

I tempi della pensione anticipata

La finestra per la pensione anticipata è di tre mesi dalla maturazione dei requisiti. Ma nel caso il lavoratore abbia maturano i requisiti entro il 31 dicembre 2023 (importo soglia pari a 2,8 volte l’importo dell’assegno sociale) andranno in pensione anticipata con le regole della normativa precedente. Ma anche per loro, se il primo assegno parte dal gennaio 2024, l’importo non potrà superare le cinque volte il trattamento minimo in vigore. Questo fino al raggiungimento dei 67 anni di età.

Quota 103

Come detto, quest’anno è stata prorogata la cosiddetta “Quota 103”, somma di 62 anni di età e 41 di contributi. Potranno lasciare il lavoro anche i nati nel 1962, a condizione che possano far valere anche 41 anni di attività. Come scriveva Leonardo Comegna sul Corriere, i suddetti lavoratori rischiano di dover attendere di fatto il 2025 per via delle “finestre mobili”, il tempo che intercorre tra la data di maturazione dei requisiti e quello dell’effettivo pagamento del primo assegno Inps. Le nuove finestre fanno slittare il pensionamento in avanti di 7 mesi (di 9 mesi i pubblici).

Ape sociale

Con il 2024 entrano nell’area di accesso all’ “Ape sociale” i nati del 1961, ma non tutti potranno utilizzare tale strumento. L’aumento del requisito dell’età da 63 a 63 anni e 5 mesi fa sì che potranno effettivamente chiedere l’Ape sociale i nati nel 1961 che compiono gli anni fino a luglio. I nati nei mesi successivi potranno conquistare l’assegno solo dal 2025. 

Opzione Donna

E’ salito da 60 a 61 anni il requisito anagrafico per il prepensionamento riservato alle lavoratrici in condizioni di fragilità, ossia caregiver (chi si prende cura di un familiare disabile nell’ambito domestico), invalide almeno al 74%, dipendenti o licenziate da imprese in crisi. Pertanto, “Opzione donna “anche nel 2024 diventa un’opzione quasi irraggiungibile per la maggior parte delle lavoratrici. La nuova Legge di Bilancio, pur prorogando la misura di un anno, conferma la stretta attuata dal 1° gennaio 2023. Accentuando, peraltro, il requisito anagrafico che nel 2024 passa a 61 anni. In altre parole, non ci saranno nuovi accessi, salvo per quelle lavoratrici che nel 2023 hanno raggiunto il requisito contributivo di 35 anni. Per quanto riguarda le lavoratrici licenziate o dipendenti da imprese in crisi, potranno accedere con 59 anni e 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2023 a prescindere dal numero di figli.

Lavoratori «precoci»

Questo canale d’uscita previsto per i cosiddetti “precoci”, coloro che hanno cominciato a lavorare per almeno dodici mesi prima dei 19 anni, è stato confermato per il 2024 è stato in tutte le sue precedenti caratteristiche. Ovviamente, se questi lavoratori rientrano nelle categorie dell’Ape sociale.

 


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